ABU DHABI – Qui una volta c’erano tribù del deserto, pirati, pescatori di perle, dromedari e commercianti di datteri. Oggi abbiamo grattacieli, centri commerciali, un reddito pro capite fra i più alti al mondo – nonostante le fluttuazioni nel prezzo del petrolio – e, naturalmente, Yas Marina. Abu Dhabi è uno dei sette Emirati Arabi e il circuito prende il nome dall’isola – artificiale – su cui sorge. Cinque chilometri e mezzo, ventuno curve, la metà delle quali concentrate nell’ultimo settore, che ha per sfondo lo spettacolare hotel Viceroy, impreziosito, quando cala l’oscurità, da un’illuminazione cangiante. Il Gran Premio è in calendario dal 2009 e gli organizzatori hanno insistito – e pagato – perché fosse l’ultimo della serie (famosa l’edizione 2014, ribattezzata “Abu Double” perché veniva garantito il doppio dei punti, in modo da creare più suspense per la finale di campionato). Come molte realizzazioni dell’architetto Hermann Tilke, il senso di marcia è antiorario e l’uscita dai box a dir poco creativa. Il fatto che l’attività sia spostata verso le ore serali fa sì che la prima sessione del venerdì, in pieno pomeriggio, si svolga in condizioni di pista totalmente diverse dal resto del week-end. Un elemento di cui piloti e ingegneri tengono conto nella scelta degli assetti. Per il resto, il tracciato non favorisce i sorpassi, anche se ci sono due forti staccate alla fine dei rettilinei principali. Le mescole di pneumatici per questa edizione saranno le più morbide della gamma (per i piloti di Scuderia Ferrari sono pronti dieci set di Ultrasoft, due di Supersoft e uno solo di Soft). Domenica sera si faranno le valigie, ma non per tutti: la settimana successiva ci sono due giorni di test di gomme. Il primo passo nella prossima stagione…
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