Scartabellando su internet alcuni anni or son0 ho trovato questo ricordo di quel 1° maggio 1994 e delle giornate successive da parte del Comandante Owen O’Mahony, il pilota di Ayrton Senna.
Non ne conosco l’autore in lingua italiana e lo riproduco perché mi sembra che sia un risvolto “segreto” della vita del campione brasiliano e della sua famiglia ricordato da chi gli è stato vicino per tanto tempo
“Il 1° maggio del 1994 il Comandante Owen O’Mahony guardava il Gran Premio di Formula 1 su un piccolo televisore all’aereoporto di Forli,, a pochi chilometri dal circuito di Imola. Fuori, il Lear Jet del suo capo, un British Aerospace 125, era in attesa sull’asfalto, appena rifornito di carburante e pronto per il decollo.
Restava sempre con l’aereo il giorno di una gara e questo era stato un weekend orribile: ripartire alla svelta sarebbe stato importante. Quella mattina, in albergo, il telefono aveva suonato alle 7. “Servizio Bagagli”, aveva scherzosamente risposto all’istante, sapendo esattamente chi c’era dall’altra parte della cornetta.
Poi, come di consueto, raccolse borse e valige e lo salutò. “Buona fortuna per la corsa, Ayrton”, gli aveva detto. Le varie esperienze della sua vita non lo avevano preparato all’istante in cui la Williams bianca e blu uscì di pista alla curva del Tamburello, picchiando contro il muro di cemento. Gli anni della RAF gli avevano aveva insegnato a reprimere le emozioni: dei suoi 13 compagni di classe alla scuola di addestramento solo in tre erano ancora vivi.
La tragedia non era quindi una novità per lui. Ma in qualche modo quella era un’esperienza diversa. Per la prima volta Owen O’Mahony non sapeva cosa fare… Le cronache ci dicono che Senna venne trasportato in elicottero all’ospedale di Bologna, così l’inglese prese il Lear Jet e volò all’aereoporto di quella città, restando lì in attesa di ricevere istruzioni, o da Julian Jakobi, il manager di stanza a Londra, o da Celso Lemos, appena entrato nell’entourage di Senna.
Nel tardo pomeriggio vide la figura familiare di Gerhard Berger correre verso di lui per abbracciarlo. Gerhard era arrivato dal circuito in elicottero e non aveva notizie fresche da dargli, ma essendo uno dei più cari amici di Ayrton, aveva istintivamente compreso come si stesse sentendo solo… Chi svolge un lavoro di quel genere, da ‘tassista di lusso’, come lui stesso lo definisce, non dovrebbe entrare in confidenza coi propri clienti e in tutta la sua carriera, O’Mahony aveva obbedito alle regole.
Il suo rapporto con Ayrton Senna era iniziato come tutti gli altri: non seguendo l’automobilismo non era nemmeno certo di chi fosse quel giovane brasiliano che l’aveva assunto e per i primi tre mesi di quel tardo 1990 niente faceva presagire che un normale rapporto professionale si sarebbe trasformato una sincera amicizia, destinata a interrompersi drammaticamente quattro anni dopo. O’Mahony riceveva le sue istruzioni dall’ufficio di Senna in Brasile e semplicemente faceva quello che gli era stato chiesto:
“Ayrton era sempre cortese, ma io non volevo infastidirlo con chiacchiere inutili, Poi un giorno si rivolse a e mi disse: ‘Owen, in futuro, vedi di parlarmi…” Non si può restare a lungo con O’Mahony senza essere coinvolti da suo brillante ‘sense of humor’ e, visto che in quel periodo, Senna aveva proprio bisogno di un tocco di leggerezza, fu soprattutto il suo umorismo ad attirarlo:
“Una volta Ayrton mi chiese di fare qualcosa per lui, ma io me dimenticai. Così, quando mi rivide mi domandò: ‘Da quant’é che stai lavorando per me, escludendo domani?’, una battuta che gli l’avevo insegnata io poco tempo prima… Mi piace pensare che sia stato anche grazie a me che imparò un po’ di umorismo all’inglese… Ma in definitiva io ero solo lo strumento che gli permetteva di spostarsi nel modo più comodo e veloce. Senna era la star e con tutti a volere sempre qualcosa da lui, di certo non voleva avere accanto un altro tipo lamentoso e richiedente per tutto il tempo.
Ed ero abbastanza vecchio da essere suo padre: forse è per questo che abbiamo legato così bene. Partivamo, poi si sedeva vicino a me e iniziava a farmi domande su questo o su quello…
” Senna aveva difficoltà con la pronuncia di O’Mahony. All’inizio lo chiamava ‘”O’Marny’, poi eliminò la ‘O’ e diceva ‘Mahny’, con l’accento sulla seconda sillaba. Quando poi trascorreva dei lunghi periodi in Brasile parlando solo portoghese non riusciva più a pronunciare nemmeno Owen e così fini per rivolgersi a lui sempre con quel nomignolo, ‘Mahny’:
“Mi ricordo che nel periodo in cui aveva dei problemi con Ron Dennis per il contratto alla McLaren mi faceva parcheggiare il Lear Jet dietro agli hangar così da poter entrare nell’aereo di Frank Williams senza che nessuno lo vedesse… La cosa divertente è dopo un Gran Premio che riuscivo mai a capire dal suo modo di fare se aveva vinto o perso. L’unico cosa che mi faceva pensare che potesse aver vinto era sentirmi chiedere com’era il tempo a Faro (dove Senna aveva una casa), una domanda che era un nostro speciale messaggio in codice: in realtà voleva sapere se poteva occuparsi lui di far atterrare l’aereo. Anche se non aveva la licenza, infatti, spesso mi mettevo a posto del secondo pilota e gli lasciavo prendere i comandi. Se invece non aveva avuto una buona gara, ci voleva un bel po’ ti tempo per cavargli di bocca anche una sola parola…”
Guardando indietro a quel week-end di Imola che ha cambiato la sua vita, O’Mahony ha cancellato molti dei dettagli e con essi buona parte del dolore. Senna non era il solito Senna fin dal momento in cui era andato a prenderlo a Faro e poi ci fu l’episodio strano della fotografia. Casualmente, O’Mahony aveva accennato a Norio, il suo fotografo personale, che dopo quattro anni al suo servizio ancora non aveva una foto di loro due insieme. E quel venerdì pomeriggio, in mezzo a tutte le altre distrazioni, Ayrton trovò il tempo di presentarsi a lui con una foto autografata, foto che ora si trova nello studio di O’Mahony.
Più tardi, dopo l’incidente di Rubens Barrichello, notando il suo turbamento Owen gli chiese se c’era qualcosa che potesse fare. Ed era la domanda di un amico, non di un dipendente… Il resto è confuso e sfuocato. Sua moglie ha registrato la gara e l’incidente, ma Owen non l’ha mai guardato . E non intende farlo. Una volta è abbastanza, dice. Il giorno dopo la morte di Senna, volò a Parigi, accanto al Jumbo che avrebbe trasportato il corpo di Ayrton. Tolsero una fila di sedili della business class per fare spazio alla bara.
O’Mahony fu segretamente grato che le porte del suo Lear Jet non fosero abbastanza larghe da farla passare:
“Non sono sicuro che avrei avuto il coraggio per fare quel viaggio”, dice. Fu già sufficientemente brutto il luglio successivo, dover accompagnare sua madre e sua sorella in Portogallo a svuotare la casa di Ayrton per riportare in Brasile le sue cose, compresi tutti i suoi trofei…
Mentre il corpo di Ayrton volava verso casa, O’Mahony tornò rapidamente a Londra,, cambiò la sua divisa con un abito borghese e prese il primo volo BA per San Paolo. Al suo arrivo, gli venne consegnato un adesivo con scritto ‘A’, Amigos.
Ma poi la madre di Ayrton, Neide, gliene diede uno con scritto ‘F’, Familias, che gli consentì di vivere un ultimo momento privato con lui. Andò al funerale in elicottero, con Alain Prost e gli Stewart, Jackie e Paolo. Non aveva mai visto cinque milioni di persone piangere tutte insieme prima di allora. Infine andò a rendere omaggio al padre di Ayrton, che aveva con sè sei pacchettini. Milton Da Silva non parla molto bene in inglese, quindi si rivolse a lui attraverso un interprete:
“Ayrton aveva molti conoscenti e amici, ma c’erano solo sei persone al mondo di cui si fidava. Tu eri uno di loro.”, gli disse consegnandogli il pacchettino. All’interno c’era un braccialetto d’oro con inciso il suo nome… Dopo qualche anno, O’Mahony ha iniziato a lavorare part-time per la Fondazione Senna, che finanzia una serie di progetti educativi, sportivi e culturali per aiutare i bambini di strada in Brasile.
Il tempo è passato, ma lui ha ancora difficoltà a lasciarsi andare. Chiudere le valvole dell’emozione, il meccanismo protettivo tanto del pilota addestrato quanto del cittadino inglese non ha funzionato. Ogni volta che guarda il braccialetto o passa davanti foto, la memoria si ribella. La verità è che Owen non vuole dimenticare. Il suo contratto diceva che Senna fosse morto, il suo impiego avrebbe cessato di sussistere all’istante.
Ma la famiglia Senna sa che può chiamarlo ogni volta che ne ha bisogno: “Ayrton mi piaceva davvero: non era come quei cretini egoisti con cui ero abituato a volare in giro. Cerco di non pensarci, questo è quello che sto cercando di fare. Ma è difficile”.
Ha lavorato per Berger e Michael Schumacher, ma non è stato lo stesso: collaborare con la sua Fondazione è una catarsi più appropriata. “Non ho più bisogno di volare intorno al mondo. Il mio cuore non è più lì. Preferisco occupare il mio tempo dando un contributo, seppur piccolo, a un progetto costruttivo. Non possiamo risolvere i problemi in Brasile, ma possiamo dare di po’ di felicità a qualche bambino bisognoso. Ayrton aveva molta compassione per quei bambini.”
O’Mahony non lo dice apertamente, ma aspetta ancora che il telefono squilli, per sentire quella voce familiare che lo chiama Mahny…
Owen O’Mahony