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Dal direttore di Quattroruote: L’ennesima impasse dell’Europa

Per gentile concessione del Direttore di Quattroruote Gian Luca Pellegrini pubblichiamo il suo articolo di fondo che potrete leggere sulla rivista “vangelo” dello modalità in Italia nel numero in Edicola con tante notizie interessanti.
Il cambio di paradigma tecnologico. Le implicazioni (e le contraddizioni) della transizione. I retroscena, i personaggi e le storie di un’industria al centro di una rivoluzione. La passione per le belle macchine e la bella guida. In anteprima, per voi, l’editoriale che troverete sul numero di luglio di Quattroruote 

L’ENNESIMA IMPASSE DELL’EUROPA
Ursula von der LeyenDunque, le elezioni europee non hanno portato quel ribaltone che molti attendevano e qualcuno sperava. Se è vero che in Germania e soprattutto in Francia il popolo ha espresso un netto dissenso rispetto all’azione di governo, lo è altrettanto che a Bruxelles e Strasburgo il blocco dominante rimarrà la coalizione che ha guidato la UE negli ultimi anni.
Nel momento in cui scrivo, sono in corso grandi manovre per trovare una nuova maggioranza sufficientemente solida e rappresentativa del voto, anche se appare evidente la volontà di escludere le destre – estreme o meno – dalla guida del Parlamento. Staremo a vedere che cosa scaturirà dalle trattative. 
Certo è che Ursula von der Leyen – a oggi la candidata più probabile alla presidenza della Commissione – dovrà cambiare atteggiamento verso il mondo dell’automotive e della mobilitàUn nanosecondo dopo l’uscita dei risultati è infatti partito il coro di chi vuole rimettere in discussione il phase out del 2035.
Ed è significativo che le critiche maggiori vengano dal Ppe, ovvero il partito più importante nello schieramento europeo. Il leader Manfred Weber ha subito tuonato che «il ban è stato un errore: nei prossimi giorni parleremo nel partito della possibilità di tornare indietro».
E a fargli il controcanto è stato il collega Peter Liese, che del Partito popolare è il responsabile delle politiche climatiche: «Dovremo fare delle modifiche: il phase out deve scomparire». Anche altrove iniziano ad alzarsi voci dubbiose sul mantenimento delle discusse norme. Per Alexandr Vondra, del gruppo di destra dei Conservatori e Riformisti europei (Ecr), la politica climatica diventerà più «realistica» nei prossimi cinque anni: «Se paragono il Green Deal alla guida di un’auto, mi aspetto che il nuovo Parlamento utilizzi anche il volante o il freno, non solo il pedale dell’acceleratore». 
Perfino dai Verdi arrivano timide aperture:
«Dovremo vedere che cosa ci riserveranno le prossime settimane», dice l’eurodeputato Michael Bloss: «Se ci saranno maggioranze in cui sono coinvolti partiti di destra, sarà possibile fare un passo indietro».Mentre le voci di dissenso si moltiplicano, la von der Leyen si trova a un bivio: il Green Deal è stata l’iniziativa identitaria della sua leadership e il suo massimo desiderio sarebbe di non toccarne l’impalcatura, ma è consapevole che, se non garantisce concessioni ai malpancisti del suo stesso schieramento, rischia di rimanere perenne ostaggio delle loro rivendicazioni. Non che sia facile mettere mano a un edificio così complesso, sia chiaro.
Come ricordato più volte, i costruttori europei sono troppo avanti nel processo di trasformazione per potersi permettere qualcosa che vada al di là di una momentanea variazione della rotta (peraltro già iniziata, di fronte alla consapevolezza che le vendite delle elettriche rimangono tuttora condizionate dagli incentivi: il click day in cui da noi sono stati fatti fuori in poche ore i bonus per le Bev, dopo mesi di stallo totale, ne è stata la plastica dimostrazione). Se anche le Case si convincessero a dare più gradi di timone (e già la scelta della Fiat di trasformare la 500 elettrica in termica la dice lunga su quanto le strategie stiano cambiando), rimane il fatto che il percorso verso la completa decarbonizzazione è stato studiato per segnare una serie di tappe intermedie che impongono accelerazioni tecnologiche molto più vicine di quanto si immagini: mettere mano alla scadenza del 2035 senza attuare una revisione degli obiettivi intermedi, ovvero quelli del 2025 (media prevista di 81 g di CO2 al km) e soprattutto del 2030 (43 g/km, che è un taglio ottenibile soltanto con una quota altissima di Bev immatricolate), sarebbe un’operazione di facciata dal valore concreto pari a zero.
Per questo, ho l’impressione che la decisione di alzare in modo clamoroso i dazi nei confronti delle elettriche cinesi, annunciata dalla von der Leyen il giorno dopo i risultati delle elezioni quale esito dell’indagine sul sospetto dumping, serva più a tenere buoni gli alleati o potenziali tali che non ad aprire la strada a un nuovo pensiero strategico. Anche qui, toccherà aspettare per vedere quali saranno le implicazioni di una mossa su cui il fronte continentale si è spaccato (i francesi e gli italiani si dicono soddisfatti, mentre i tedeschi, che vogliono avere le mani libere con il proprio principale partner economico, sono già andati a parlare con il governo di Xi Jinping, dissociandosi dalle iniziative della Commissione).Xi Jinping
Ormai siamo al paradosso: dopo aver imposto per decreto l’elettrico senza prevedere che avrebbe aperto le porte all’aggressività di Pechino, ora Bruxelles si blinda per ostacolare l’importazione delle Bev costruite dietro la Grande Muraglia (molte delle quali di marchi europei), che consentirebbero – in virtù dei costi inferiori – di raggiungere in fretta gli obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti dall’Europa stessa, con il doppio risultato di pregiudicare la transizione immaginata e di fare arrabbiare un permalosissimo gigante che tiene l’industria dell’auto al proprio guinzaglio. I costruttori cinesi, per ora, non fanno un plissé: sanno benissimo che Pechino li difenderà a oltranza, magari aiutandoli ad assorbire l’extra costo (oppure alzando per ripicca i dazi all’importazione delle auto di alta cilindrata provenienti da ovest: si parla di passare dall’attuale 15% al 25% per i veicoli dotati di motori oltre i 2.5 litri), e che il loro terreno di caccia saranno i segmenti bassi, quelli abbandonati dai concorrenti europei perché impegnati a investire sullo sviluppo di una tecnologia la cui filiera è controllata, guarda un po’, dai cinesi stessi. Se questo non è autolesionismo, non so che cosa sia.