Categorie
Produzione di serie

4R Gian Luca Pellegrini: il mondo brucia e noi giochiamo

Il cambio di paradigma tecnologico. Le implicazioni (e le contraddizioni) della transizione. I retroscena, i personaggi e le storie di un’industria al centro di una rivoluzione.
La passione per le belle macchine e la bella guida. In anteprima, per voi, anche su ss9modena.it, l’editoriale che troverete sul numero di GIUGNO di Quattroruote su cui troverete tante altre notizie di rilievo, grazie alla disponibilità del Direttore Gian Luca Pellegrini 

IL MONDO BRUCIA E NOI GIOCHIAMOLe istituzioni hanno avocato a sé il ruolo di decisore unico, disegnando un percorso obbligato che fa strame del concetto di neutralità tecnologica: per raggiungere le fenomenali riduzioni di CO2 imposte dall’Europa, l’elettrico è una necessità, non una delle possibili opzioni sul tavolo.
Una decisione che, pur basata sulla condivisibile intenzione di limitare l’impatto della mobilità sull’ambiente, non ha previsto alcuna valutazione né sull’effettiva accettazione da parte del pubblico né sulle conseguenze macroeconomiche. (…) 
Sembra incredibile che chi ha deciso di abbracciare una strada così complessa non ne abbia compreso gli effetti sulle dinamiche industriali. L’elettrico (…) apre le porte dell’Europa a un’invasione dei produttori cinesi, sostenuti da un sistema Paese voglioso di affrancarsi dalla dipendenza tecnologica dall’Occidente». 
Era l’aprile del 2019, ben prima che fossero approvati Fit for 55 e phase out, quando scrivevo queste parole nell’editoriale, presagendo che le scelte di Bruxelles – oltre a non tener conto dei consumatori, ritenuti elementi marginali della rivoluzione – avrebbero avvantaggiato i costruttori di Pechino, con inevitabili implicazioni a largo raggio. Furono frasi accolte con sufficienza da larga parte dell’industria. Senza indulgere in inopportune autocelebrazioni, posso dire di averci azzeccato. 
Cinque anni dopo quell’articolo, l’elettrico – nonostante il generoso sostegno delle finanze pubbliche – è ben lontano dall’essere un prodotto di massa (anzi, le Case hanno innestato la retromarcia, e ho ancora in mente la copertina dell’infallibile Economist che nell’agosto 2017 preannunciava l’imminente morte del motore a scoppio);e chi aveva disceso con orgogliosa sicurezza le valli del mercato cinese confidando su una supposta superiorità di competenze si rassegna a un peso specifico secondario, che diventa risibile fra le Bev. Al contrario, i costruttori di Pechino stanno arrivando a una velocità supersonica: hanno l’appoggio del loro governo, che ne sovrintende le strategie, controllano la filiera delle emissioni zero e tutti sono costretti a siglare accordi tecnici con loro.La vera partita del domani si gioca, però, in un ambito se possibile ancora più complesso rispetto a quello delle “banali” quote di mercato: la transizione sta infatti ridisegnando l’equilibrio geopolitico globale.

Europa e Stati Uniti hanno spalancato le porte d’ingresso – per oltre un secolo tenute sigillate da una leadership tecnologica che si è voluto sacrificare sull’altare di una presunta sostenibilità – a un sistema che ha fatto dell’espansione la propria ragion d’essere. 
Così ora ci si ritrova nel paradosso di doversi armare – in un mix di orgoglio autarchico, mera necessità di consenso (le elezioni s’avvicinano su entrambe le sponde dell’Atlantico…) e forse l’inconscio desiderio di mondarsi da scelte autolesioniste – per respingere l’aggressore che noi stessi abbiamo attirato con normative suicide.
Il via alle danze lo hanno dato gli Stati Uniti, che hanno portato dal 25 al 100% i dazi d’importazione su macchine elettriche, tecnologie green, microprocessori e metalli provenienti dalla Cina. A Bruxelles, dove sono attese per il 4 luglio le prime evidenze dell’indagine promossa per capire quanto il governo di Xi Jinping aiuti di nascosto i propri costruttori (BYD, Saic e Geely sono state accusate di non voler cooperare), è forte la tentazione di imitare Biden, anche se non in maniera così tranchant. 
Ma il fronte è indebolito da una miriade di visioni diverse. Il governo tedesco non può permettersi d’irritare la Cina, proprio principale partner, mentre quelli francese e italiano chiedono protezione a gran voce (da Pechino già arriva la minaccia di tassare il cognac d’importazione, e non è una battuta). 

Fra le Case, BMW, Volkswagen e Mercedes sono contrarie a qualsiasi iniziativa che possa scatenare ritorsioni, mentre Tavares sostiene che la politica farebbe meglio ad aiutare le imprese a competere sui costi.Che cosa possa accadere è difficile dirlo. Al netto dei distinguo e delle legittime posizioni, non è chi non veda come l’automotive dipenda dalla componentistica cinese a basso costo (con tutto quello che ne consegue: il Senato Usa, per dire della complessità del tema, ha accusato la BMW di aver importato auto con parti vietate perché fornite da aziende sospettate di sfruttare il lavoro della minoranza etnica degli uiguri).

Nel frattempo, i pragmatici cinesi attaccano il basso di gamma lasciato sguarnito dai player nostrani e aprono fabbriche cacciavite a spron battuto, attirati dagli stessi governi locali che a parole sostengono l’azione difensiva della Commissione. Nelle Americhe, cercano di aggirare i muri di Biden aprendo teste di ponte in Messico: l’Alliance for american manufacturing strilla che «l’arrivo nel mercato statunitense di auto economiche cinesi sarà un evento che segnerà l’estinzione dell’automotive Usa».

Ben vengano i cinesi, sia chiaro: hanno colto l’opportunità che abbiamo voluto regalargli e comunque saranno loro a sostenere l’essenza democratica dell’automobile. Ma era necessario mettere fuori legge l’unica tecnologia che ci avrebbe consentito di lottare ad armi pari? Sempre che il phase out del 2035 rimanga in piedi, s’intende… E in Italia, invece? Beh, da noi prosegue la rissa tra governo e Stellantis: l’ultima puntata della telenovela racconta di un gruppo di Topolino sequestrate a Livorno a causa di un tricolore giudicato inopportuno per via dell’origine nordafricana (la bandierina è stata tolta anche dalla coda della 600).
Ci si balocca in bagatelle, mentre tutt’attorno si fa sul serio.