Sono 50 anni che la parola “autodromo” è sulla bocca di tutti. Dei diretti interessati ma anche di coloro che approfittano di queste opportunità per uscire dal loro guscio dell’anonimato. Sembrano tori inferociti davanti alla muleta.
Lo fanno sia nella versione “pro” sia e maggiormente nella versione “contro”. 50 anni di parole in cui la Modena, ora inserita nella Motor Valley, allora aveva dei veri obiettivi di sviluppo tecnico, industriale, di opportunità di lavoro e necessità operative, avendo un riguardo anche alle competizioni del massimo livello: F.1 e gare di durata, anche sulle 24 ore.
Oggi invece, si deve far spacciare il lavoro da fare sotto la voce “sperimentazione” di cui parla chi non è a conoscenza effettiva del problema complessivo nel mondo dell’automotive e ne è una storpiatura identificativa.
Un complesso strutturale che ha un suo essere per quanto riguarda la parte relativa allo sviluppo delle velocità massime ma che scade quando si ipotizza che possa essere una sede di competizioni. Diventerebbe il 4° autodromo in Regione senza una propria storia a fronte di Imola, Varano e Misano che hanno un back ground.
Ogni volta che si legge qualcosa su questo argomento c’è una nuova versione del sistema e di quello che potrebbe e dovrebbe essere il risultato finale. I comunicati e le dichiarazioni, rilasciate, sono una sorta di caleidoscopio di quelli che dovrebbero essere i risultati finali.
Spacciare la nuova pista come strumento di cui si sente l’assoluta necessità per sviluppare i nuovi prodotti è per lo meno anacronistico in quanto tutte quelle che sono le omologazioni necessarie per le leggi internazionali, per poter mandare in produzione una vettura affinché possa essere omologata per la circolazione stradale e quindi commercializzata, ha proprio nella circolazione sulla pubblica strada l’imprescindibile necessità dell’essere.
Chi parla e scrive in merito non ha la visione della realtà, in cui, anche notte tempo, oltre ai momenti di massima intensità del traffico, nello stesso si notano le presenze dei prototipi di modelli che ancora non sono stati commercializzati.
Due versioni di lavoro, quello che prevede la prima fase di affaticamento complessivo e vera sperimentazione delle novità e poi, invece, quello sulla lunga distanza, per le versioni che si possono definire definitive, per cui vi sono esemplari che lavorano 24 ore su 24 per raccogliere quei dati che sono indispensabili ed obbligatori per ottenerne l’omologazione.
Si chiamano cicli di lavoro in cui i dati raccolti sono quelli che poi si devono mettere a disposizione dei singoli enti federali e nazionali per ottenere le omologazioni a partire dall’inquinamento, alla rumorosità, dopo aver superato le prove di crash per la sicurezza strutturale nei confronti degli occupanti.
Tutto lavoro che devi comunque fare per strada perché fatto su una pista di prova ha un’anomalia specifica: l’assenza del traffico ad incidere sull’effettiva raccolta dei dati.