Tutte le case costruttrici di automobili sanno bene che i grandi volumi di vendita si fanno con le auto di medie piccole dimensioni, meglio se SUV, e con motori dalla cilindrata contenuta, a quattro cilindri se non, addirittura, a tre come avviene attualmente. Oggi il prestigio di un motore viene dato dalla tecnologia all’avanguardia che adotta, come ad esempio quella del plug-in hybrid o del full electric, ma una volta il prestigio veniva dato dal suo frazionamento. In sostanza, il numero di cilindri di cui disponeva e su cui si frazionava la cilindrata. Più ne aveva e più era un motore prestigioso, tendenzialmente potente, dall’erogazione nobile, se così si può dire. Disporre nel proprio listino di automobili equipaggiate con un motore ad otto cilindri non era cosa da tutti, ma in un contesto di mercato vivace, senza eccessiva se non nulla attenzione per consumi e soprattutto emissioni, si poteva pensare di avere in gamma un plurifrazionato: dava prestigio al modello su cui veniva montato.
Metà anni 30
Alla metà degli anni trenta e alla fine degli anni sessanta le caratteristiche c’erano tutte per affrontare un simile impegnativo progetto. Gli studi per la progettazione di un motore ad otto cilindri da inserire nella produzione di serie presero avvio in casa Peugeot alla metà degli anni trenta e avevano come obiettivo la costruzione di un propulsore ad otto cilindri a V partendo da due blocchi motore della Peugeot 402.Il progetto consisteva nell’usare due serie di cilindri, pistoni, teste e bielle del motore montato sulla 402 ed assemblarli su di un apposito basamento con all’interno uno specifico albero motore. Dal progetto si passò alla realizzazione e ne furono montati alcuni esemplari da testare, prima sul banco, poi dei muletti su strada.
Parallelamente, procedeva anche lo sviluppo della nuova vettura destinata ad ospitare questa meccanica ad otto cilindri. La carrozzeria della futura V8 della Casa del Leone si ispirava alle linee aerodinamiche in voga al momento presso Peugeot e note con il nome di “Fuseau Sochaux”. Alla fine però il progetto presentato dal centro studi era molto simile ad una 402, ma più in grande: praticamente, una sorta di monovolume ante litteram. Il suo nome? 802. Il richiamo al numero 8 non è del tutto casuale, come era avvenuto in precedenza per la sei cilindri battezzata con l’introduzione della nuova numerazione 601. Per il nuovo modello sarebbe stata quindi utilizzata la numerazione con il numero 8 iniziale e 2 finale, dal momento che apparteneva alla seconda generazione di vetture con lo zero centrale. Tutto finalmente era pronto per avviare la produzione, anche il logo da apporre sopra alla calandra con la scritta 802, era già stato realizzato. Del tutto simile agli altri, con la scritta Peugeot in alto e sotto i tre numeri con i colori della bandiera francese. All’ultimo minuto, però, mancò l’autorizzazione a procedere: la nuova vettura era troppo simile alla 402 e forse non avrebbe dato grande valore aggiunto alla gamma Peugeot. Poi la guerra dissipò ogni residuo dubbio, anche sulla possibilità di un diverso impiego del V8.
Che ne fu dei motori di pre serie prodotti? Probabilmente andarono tutti distrutti poco prima dell’occupazione degli stabilimenti da parte dell’esercito tedesco, per evitare che cadessero nelle mani del nemico. Uno di essi però non fece questa fine e fu ritrovato molti anni dopo all’interno di una funivia. Che fine irrispettosa del suo prestigio… Questo impiego però gli valse la sopravvivenza e oggi è in bella mostra all’interno del Museo de l’Aventure Peugeot di Sochaux.
Quasi quaranta anni dopo, Peugeot decide che il momento era nuovamente maturo per tentare la messa in produzione di un motore V8, questa volta in collaborazione con Renault. Ai due costruttori francesi si aggiunse nel 1971 anche Volvo, da qui l’acronimo PRV. Ma pochi sanno che nell’intervallo tra questi due momenti ve ne fu un altro che con molta probabilità fu propedeutico allo sviluppo del motore PRV.
Anni 50
Nella seconda metà degli anni cinquanta, Peugeot si era accordata con Renault per esportare le vetture dei due marchi sul suolo americano utilizzando un’unica rete di distribuzione ed assistenza. Ciò si rivelò un’impresa ardua da realizzare, soprattutto a causa della notevole diversità negli standard per dimensioni e cilindrata delle vetture europee rispetto a quelle americane.
Peugeot decise quindi di fare un passo avanti studiando una versione “USA” della 404 che oltre a rispettare tutte le stringenti normative sulla sicurezza e sull’inquinamento (già all’epoca presenti in molti stati come la California) disponesse anche di un motore V8. Come per la 802, anche per la 404 il motore V8 fu sviluppato partendo dal quattro cilindri della 404 stessa; identica tecnica, due bancate di cilindri, pistoni e teste della 404 assemblate su di un solo basamento. Questa volta, però, si era deciso di lasciare quasi inalterata la carrozzeria della futura 404 V8. Il propulsore sarebbe stato montato direttamente sulla 404 berlina con una drastica riduzione dei costi di produzione. Contrariamente a quanto si può immaginare, il vano motore della 404 era stato progettato particolarmente ampio proprio in vista di una simile eventualità. Alcuni prototipi vennero assemblati e poi testati anche sulle strade americane: queste 404 V8 si distinguevano dalle altre per una presa d’aria posta sul cofano motore e per il doppio scarico posteriore, uno a destra e uno a sinistra. Furono inoltre apportate modifiche all’impianto frenante con l’adozione dei freni a disco per rispondere alla maggiore potenza e alle sospensioni anteriori che vennero rinforzate. Il risultato fu un progetto molto equilibrato, forse anche troppo.
Purtroppo però, anche questa volta, il tutto era destinato a naufragare per cause esterne al progetto. La filiale americana dell’altro costruttore francese (con cui Peugeot collaborava) in quel momento accusava dei problemi e, anche se la Casa del Leone, seppur molto gradualmente e non senza difficoltà, fosse riuscita ad espandersi e a crearsi una sua clientela, furono giocoforza costretti a rivedere i programmi. A seguito di ciò, seguirono delle modifiche nei programmi di vendita, ma fortunatamente non una chiusura dei progetti di esportazione verso il Nord America. Anche se forse le cause che portarono al definitivo abbandono del progetto 404 V8 furono altre, certamente questa concomitanza temporale pose grossi dubbi e per la seconda volta si arrivò solamente ad un passo dalla messa in produzione del motore V8. Cosa è rimasto di questo progetto? Pare che due prototipi di 404 V8 si siano salvati.
Fine anni 60
Il progetto di poter disporre di un motore V8 in casa Peugeot non era però definitivamente tramontato. Il fuoco covava sotto la cenere e aveva ormai contagiato anche Renault e Volvo, entrambi desiderosi di presentarsi sul mercato nord americano con nuovi modelli equipaggiati da motori otto cilindri. Questa volta si parte da un progetto completamente nuovo per l’otto cilindri; il motore sarà tutto in lega leggera con il classico angolo di 90° tra le due bancate. Purtroppo, però, anche questa volta, il diavolo ci mette lo zampino. Un fattore esterno, totalmente estraneo alla progettazione e allo sviluppo del motore pone seri interrogativi sulle possibilità di commercializzare vetture equipaggiate con motori ad otto cilindri a benzina: è la crisi petrolifera del 1973 che genera un periodo di grande austerità. L’innalzamento del prezzo dei carburanti in tutto il mondo impone una revisione del progetto pur considerando l’aspetto strategico in termini di presenza nel mercato americano. Viene quindi presa una drastica decisione: tagliare due cilindri, salvando però l’impostazione di base dell’intero progetto. Da qui l’insolito angolo delle bancate per un V6 come il PRV: i 90° sono infatti eredità del frazionamento di un classico 8 cilindri.
Le prime Peugeot a fregiarsi di questa meccanica furono le 504 coupé e 504 cabriolet, battendo gli altri costruttori coinvolti nel progetto. Ma la vettura di casa Peugeot che ha indissolubilmente legato il suo nome con il 6 cilindri PRV è la 604, l’ammiraglia presentata nel 1975. Alla 604 seguirà la 505 V6 che fece da “trait d’union” con la prima serie di 605, anch’essa inizialmente equipaggiate con il PRV, prima di ricevere il nuovo motore V6 destinato poi anche alla 406. Il motore PRV era un motore studiato per poter rispondere a numerose esigenze in termini di cilindrata, alimentazione e potenza. Le prime spaziarono dai 2.664 cm3 alla soglia dei 3 litri, le alimentazioni spaziarono da quella a carburatori all’iniezione meccanica ed a quella elettronica degli ultimi modelli. La potenza, poi, partiva da poco oltre i 130 CV fino ad arrivare ai vispissimi 200 della 605 SV-24.
Questo fu un motore davvero robusto ed affidabile, con soluzioni tecnologiche interessanti, quali, ad esempio, la presenza della catena di distribuzione in luogo della cinghia di gomma, quindi non soggetta a sostituzione e a potenziali rotture. Inoltre, questo apprezzato motore, oltre che sulle vetture dei tre costruttori Peugeot, Renault e Volvo, venne adottato anche da altri costruttori (anche italiani) per le vetture di vertice delle proprie gamme e, non molti lo sanno, trovò posto anche su una vettura che divenne famosissima per esser stata la coprotagonista di un film degli anni 80: la De Lorean del film Ritorno al Futuro.