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Ferrari pensiero: Austin, l’erede di una lunghissima tradizione

Quella che lega la Formula 1 e gli Stati Uniti è una storia lunga e complessa. Una storia che per qualche anno, in due epoche e su tracciati diversi, si è intersecata con quella di Indianapolis (la 500 Miglia ha fatto parte del mondiale F1 fra il ’50 e il ’60) e che ha avuto come teatro circuiti cittadini come Las Vegas, Dallas, Detroit, Long Beach e Phoenix e impianti permanenti come Riverside, Sebring, Watkins Glen, la stessa Indy, per arrivare oggi al Circuit of the Americas.
Austin è una città viva, pulsante, animata dai festival musicali. Ha un motto, “Keep Austin Weird” (ovvero “mantenetela strana”) che è tutto un programma, e una statua dedicata a una donna, Angelina Eberly, che salvò gli archivi della capitale da un tentativo di furto sparando una cannonata che svegliò i suoi concittadini. Il circuito sorge nella pianura texana, costellata di fattorie e ristorantini Tex-Mex. E’ stato inaugurato nel 2012 con l’idea di mettere insieme un ‘puzzle’ delle curve più interessanti presenti su altre piste del mondiale e il risultato, sorprendentemente, ha una sua armonia. Il senso di marcia è antiorario, come in tante piste dell’ultima generazione (ma anche tanti tracciati cittadini americani del passato) e il tratto più caratteristico, a parte la torre panoramica, è la ripida salita dopo il via, che porta a un ‘rampino’ a sinistra fatto apposta per incrociare traiettorie e tentare il sorpasso. Segue una serie di “esse” che ricorda Silverstone e Suzuka, un altro tornante, un rettilineo e una sezione tortuosa stile circuito cittadino, che sfocia in una curva a più raggi sullo stile del mai dimenticato Instanbul Park. Due pieghe ad angolo retto completano il giro. Data la bassa usura delle gomme, per questa edizione saranno impegnate le mescole più morbide a disposizione: Soft, Supersoft e Ultrasoft.